LOVE EDUCATION

di Sylvia Chang (2017)

Siamo in Cina, Huiying è convinta che la madre, in punto di morte, le abbia sussurrato di voler essere sepolta accanto al marito.
Il problema è che la tomba del marito è in campagna, custodita dalla precedente moglie, Nanna, che pur essendo stata abbandonata dal consorte dopo pochissimo tempo, si considera ancora legata a quell’uomo e al suo ruolo, e si rifiuta di lasciar portare via la bara.
Alle due generazioni in contrasto si aggiunge la figlia di Huiying, Weiwei, la quale ha a sua volta un rapporto complicato con un ragazzo, ed è anche molto incuriosita dalla figura di Nanna, tanto da volerla conoscere un po’ di più.
I sentimenti di ciascuna delle tre protagoniste sono assolutamente degni di rispetto, e andrebbero raccontati sussurrando, ma il tutto viene completamente spettacolarizzato dai colleghi di Weiwei, che si buttano sulla notizia, cannibalizzandola, semplificandola e dandole un alone di sensazionalismo: le due donne che litigano sulla tomba, il talk show successivo, il viso sconvolto delle protagoniste.
Huiying crede di dover sistemare le cose come (forse) la madre avrebbe voluto e si affanna a cercare il vecchio certificato di matrimonio lottando contro la burocrazia cinese.
L’anziana Nanna pensa di avere ancora un dovere morale verso quell’uomo, nonostante sia rimasta da sola subito dopo il matrimonio, e si affanna a mostrare a Weiwei delle vecchissime lettere che ne comprovino l’affettuosità.
Weiwei ha un rapporto amoroso con un musicista che vorrebbe trasferirsi lontano e vorrebbe che lei lo seguisse, ma lui ha anche dato tutti i suoi risparmi a un’altra donna che ha un figlio che lo chiama “papà”.
Le ragioni di Huiying, Nanna e Weiwei paiono viaggiare su binari paralleli, e forse il finale ne è la dimostrazione più lampante. E si ha la triste sensazione che l’unica ragione che fondamentalmente abbia vinto, sia quella dello spettacolo televisivo che su tutto predomina.

VOTO: 7

CAMPAIGN 2

di Kazuhiro Soda (2013)

Sono passati 6 anni da “Campaign“, e Kazuhiko ha deciso di provare a ricandidarsi per il Comune di Kawasaki, non più supportato dal partito LDP ma totalmente indipendente.
Sono successe molte cose in questi anni, lui ha avuto un figlio, la moglie per fortuna non ha dato retta ai consigli dei “sensei” e si è tenuta il lavoro e soprattutto c’è stato l’incidente di Fukushima.
Rispetto al film precedente su cui aleggiava un’atmosfera di divertita sorpresa, qui tutto sembra invece immerso in una consapevole malinconia.
Il precedente documentario deve aver offeso molti politici, i quali sono molto meno disponibili a farsi riprendere; e anche Kazuhiko non è passato indenne dalla visione, ora sembra più triste, pensieroso, privo di entusiasmo… al punto che spesso ci si chiede il motivo per cui abbia deciso di ricandidarsi, visto lo scarsissimo impegno che ci mette nel pubblicizzarsi. Si riduce a spedire migliaia di volantini solo l’ultimo giorno, ma lui e la moglie non sono più soli, c’è anche un bimbo a cui badare, che si sente trascurato, e mentre loro trascrivono indirizzi, si sdraia sul pavimento piangendo disperato. Questo penso sia una delle scene più emblematiche, perchè Kazuhiko e sua moglie non sembrano più così simpaticamente naif e disordinati, ma solo totalmente impreparati e inaffidabili.
Nemmeno la macchina da presa di Soda riesce a dare un senso forte alle immagini, o meglio, l’impressione che rimane dopo quasi tre ore di visione è la consapevolezza della superficialità della macchina politica giapponese nei Comuni.
I candidati sono solo pedine che fanno numero per il conteggio nazionale, ma fondamentalmente nessuno si prende un’iniziativa personale, e i pochi indipendenti che lo fanno non hanno il coraggio comunque di uscire dalle rigide regole elettorali.
Tutti col megafono, tutti a inchinarsi, tutti in giro in auto esattamente come sei anni prima. Solo Kazuhiko si rifiuta di far parte di quel modo di pubblicizzarsi, ma non ne trova uno alternativo.
La cosa agghiacciante è che invece un argomento forte su cui incentrare la propria campagna politica ce l’avrebbe avuto: il nucleare! La tragedia di Fukushima è accaduta pochissimo tempo prima, la radioattività a Kawasaki è doppia, eppure pare che a nessuno importi, assolutamente a nessuno; i mass media non ne parlano, i politici non l’hanno inserito nel programma e nemmeno Kazuhiko riesce a essere veramente incisivo nel dire “no” alle centrali nucleari. C’è una sorta di censura sia politica che umana riguardo a quella tragedia, ed è forse questo che ci fa sembrare Kazuhiko e il suo vestirsi con la tuta antiradiazioni molto meno “simpatici”.

VOTO: 7

CAMPAIGN

di Kazuhiro Soda (2007)

Ma quanto è faticosa la vita politica in Giappone?
Soda segue Kazuhiko Yamauchi, un candidato per il posto vacante in Comune nella città di Kawasaki.
Kazuhiko è assolutamente digiuno di politica, non ha nessuna preparazione, ma la sua elezione è fondamentale per il partito LDP di Koizumi, in quanto se perdesse, il partito stesso perderebbe la leadership in quella regione. Ecco perchè il partito mette a disposizione tutte le sue migliori risorse umane ed economiche per supportare il naif Kazuhiko.
Kazuhiko suscita immediata simpatia proprio per il suo inconsapevole entusiasmo, la sua dedizione alla causa, l’aplomb con cui incassa le critiche di tutti gli “esperti” e attraverso di lui scopriamo tutti i meccanismi politici sottostanti a una qualsiasi elezione.
Il candidato viene trasportato a feste di paese, incotri sportivi per anziani, parchi gioco per bambini, processioni… e osserviamo con tenerezza il suo viso e il suo sguardo farsi sempre più stanchi e depressi man mano che i giorni passano.
Le regole degli anziani sono inflessibili: bisogna inchinarsi a qualunque cosa, anche a un palo della luce, non si dice “wife” ma “housewife” perche “wife” suona strano, bisogna portare totale rispetto a tutti i “sensei” che generosamente si prestano a supportarlo, bisogna ripetere il proprio nome ogni tre secondi che è il tempo massimo di attenzione delle persone…
Man mano risulta evidente che Kazuhiko è solo una pedina che non ha nessuna possibilità di muoversi liberamente, è totalmente vincolato alla ferrea organizzazione gerarchica del partito. Gli anziani consigliano addirittura alla moglie di licenziarsi, perchè non sta bene che la moglie lavori e la coppia non abbia ancora figli.
Vincerà? Lascio agli spettatori scoprire il risultato.
La frase più agghiacciante e che secondo me racchiude tutto il senso del film viene detta “scherzosamente” da uno dei capi, quando Kazuhiko ritarda e fa aspettare gli altri “sensei”: “Se fossimo stati ancora all’epoca dei samurai, avrebbe dovuto fare harakiri”.

VOTO: 7,5

SUN DON’T SHINE

di Amy Seimetz (2012)

Leo e Crystal viaggiano in auto. All’inizio non si capisce bene dove stiano andando, perchè siano così agitati, che problemi abbia lei, e forse nemmeno loro lo sanno.
Man mano il quadro generale si fa più chiaro, Crystal ha una figlia che ha lasciato a casa da sua madre, Leo non è suo marito, il quale invece giace chiuso nel bagagliaio dell’auto.
Crystal appare a volte debole e bisognosa di protezione, ma forse non è proprio così, la sua estrema sensibilità la fa essere un po’ una mina vagante di cui Leo a volte è attratto e a volte spaventato ed esasperato.
Non pare che i due abbiano un piano, vogliono solo andare alle Everglades, affittare una barca, lei vorrebbe una piscina, Leo ha un’amica là che potrebbe aiutarli, ma forse è una sua ex amante e la cosa a Crystal potrebbe piacere molto poco.
Tutto il film ha questa atmosfera sospesa, di minaccia incombente. La coppia vaga nella realtà condividendo una visione lisergica del mondo, che sommerge tutto e che pare inarrestabile. La storia non può che concludersi nell’acqua, un ritorno all’utero materno, l’unico posto protetto dalla realtà incalzante.

VOTO: 8

MICROHABITAT

di Jeon Go-woon (2017)

La trentenne coreana Miso lavora come donna delle pulizie e ha come unici piaceri nella vita le sigarette, un bicchiere di whisky al giorno e il fidanzato.
Quando il prezzo delle sigarette quasi raddoppia, invece di rinunciare a uno di quei piaceri (vizi?) come parrebbe logico alla maggior parte di noi, Miso decide di rinunciare alla casa, raduna le proprie cose in un paio di valigie e si fa ospitare dai vari componenti della band in cui suonava da ventenne.
Il tempo è passato, ognuno di loro ha cambiato vita, c’è chi sembra vivere in una prigione dorata, chi vive faticosamente con marito e suoceri, chi è in profonda crisi depressiva dopo un divorzio, chi non ha tempo nè spazio per accoglierla nemmeno un giorno perchè è troppo occupata a far carriera…
Tutti gli ospitanti sono intrappolati in una vita che non li rende felici, hanno case mediamente confortevoli, un buon tenore di vita, eppure paradossalmente l’unica veramente felice è Miso, nonostante la precarietà del suo stato, che si aggrava ulteriormente quando la sua datrice di lavoro non può più mantenere il proprio alto tenore di vita e deve licenziarla.
Il solo fatto che ne intacca la felicità è la partenza per due anni del fidanzato, che rinuncia ai suoi sogni di fumettista per poter guadagnare di più accettando un lavoro all’estero normale e inquadrato. E’ l’unico momento in cui vediamo Miso piangere, del resto lui rappresentava uno dei suoi tre motivi di vita, l’unico su cui non aveva possibilità di controllo, ecco perchè lo accuserà di averla tradita.
Quando tutti i componenti della band si ritrovano dopo qualche anno in occasione di un funerale, l’unica assente è proprio Miso di cui tutti parlano con un misto fra nostalgia e pena; ma noi spettatori sappiamo bene quanta tristezza c’è nelle vite e nel cuore di ognuno di loro, ed è con un lieve sorriso che accogliamo l’ultima inquadratura, dedicata a Miso e alla sua Vera Libertà.

VOTO: 8

NATURAL SCIENCES

di Matias Lucchesi (2014)

Lila è una dodicenne argentina che vive in montagna con la madre, e ha l’impellente desiderio di scoprire chi è il proprio padre. E’ così forte la sua motivazione che cerca di scappare da scuola a cavallo rischiando di morire congelata, e prova a guidare un’auto con risultati disastrosi. La madre è totalmente contraria, vorrebbe archiviare la cosa come un incidente a cui non ripensare più, ma Lila non si rassegna, vuole conoscerlo a qualunque costo.
L’unica che si preoccupa e cerca di aiutarla è la maestra di scienze, che decide di accollarsi un viaggio in auto di un paio d’ore per andare nella città dove Lila è convinta ci sarà suo padre.
Solo giunte in città scoprirà che Lila non sa nemmeno il nome di quest’uomo e l’unico indizio che ha è una vecchia placca di metallo della ditta in cui il padre presumibilmente lavorava come antennista.
Dopo alcuni momenti di stallo in cui la ricerca sembra arrivare ad un punto morto, le intuizioni della ragazzina permettono alle due di riprendere la ricerca fino a giungere all’agognato incontro.
Personalmente ho trovato questo film fin troppo minimale. Le due protagoniste non brillano particolarmente per simpatia, e non si riesce nemmeno a empatizzare con Lila e questo suo desiderio imperioso di conoscere il padre. Il presunto “road movie” si riassume in un paio di tappe, un paio di incontri, un po’ stile “unisci i puntini” de “La Settimana Enigmistica” tale è la mancanza di passione delle due.
Anche quella che dovrebbe essere la scena clou, la scoperta del padre, in realtà si risolve in un imbarazzato e gelido incontro, tanto che ci si chiede se fosse veramente valsa la pena disperarsi così tanto per un risultato così misero.
Il premio per il didascalismo lo darei sicuramente alla scena finale in cui Lila pianta su una roccia in montagna il segnavento regalatole dal padre, che sicuramente ora le servirà per dare “una direzione alla propria vita”.

VOTO: 4

PEACE

di Kazuhiro Soda (2010)

Trovo sempre affascinante come Soda, apparentemente lasciandosi trasportare dai personaggi che incontra, riesca comunque a dare una propria impronta personalissima e forte a ogni suo girato.
Il primo protagonista è Toshio, che fa un servizio taxi per i disabili. Iniziamo seguendo la sua giornata in giro in auto, la sua pazienza e generosità nell’aiutare persone con gravi problemi, e la sua passione per i gatti, che nutre e cura ogni giorno, nonostante vari screzi con i vicini e la moglie. Sempre con la stessa serena calma racconta di come la colonia felina abbia un problema, un gatto ladro, che cerca di rubare il cibo agli altri. Il gatto ladro è anche bruttino, sembra malaticcio, ma il signor Toshio risolve il problema non scacciandolo, ma dandogli del cibo prima e lontano dai suoi mici.
La moglie Hiroko gestisce un’attività di volontariato che si prende cura delle persone malate e anziane costrette a casa. E’ molto meno sognatrice del marito, più ancorata ai problemi terreni dei litigi con i vicini per i gatti del marito, dei conti sempre in perdita dell’attività che gestisce…
Ed è tramite lei che conosciamo l’ultra 90enne signor Hashimoto, che vive i propri ultimi giorni (ha un tumore terminale ai polmoni) in un piccolissimo appartamento infestato da zecche e topi, ma che non rinuncia a indossare camicia e cravatta quando arriva la cinepresa.
E’ in quel momento che la cinepresa si avvicina, la visione diventa veramente empatica, e soffriamo assieme a lui mentre si siede a meditare su un gradino fuori dalla clinica o quando racconta i sue tragici ricordi della guerra, e sorridiamo amaramente leggendo il nome delle sigarette che fuma: “Peace”.
Il ritmo rallenta, come ad adeguarsi al passo dell’anziano e il nostro sguardo si avvicina all’essenza della pace, che è indossare una buffa cravatta andando in clinica, ascoltare i brontolii della propria moglie fingendo di non esserci, osservare come il gatto ladro alla fine venga accolto nella comunità degli altri mici.
La morte del signor Hashimoto in questo modo fa meno male, perchè la nostra coscienza è pacificata, rientra nel ritmo dell’eterno divenire, e ci lascia solo una lieve malinconia.

VOTO: 8,5

INLAND SEA

di Kazuhiro Soda (2018)

Ushimado è un piccolo villaggio di pescatori, che sta ormai spopolandosi. Soda e la moglie partono da New York e decidono di immortalare, senza intermediari, gli ultimi abitanti sopravvissuti di un’epoca in cui la pesca e il commercio erano fiorenti.
Il primo protagonista è Wai-Cham, un taciturno 86enne che, nonostante l’età, continua ad alzarsi di notte per raccogliere le reti e portare i pesci al mercato.
La missione di Soda pare sia immergersi completamente nella comunità del villaggio, un testimone portato qua e là dalla corrente delle emozioni proprie e altrui . In questo modo la narrazione che all’inizio si era fissata sul metodico lavoro del pescatore si sposta verso la proprietaria della pescheria, una festa sulla riva in cui i maggiori protagonisti sono gli onnipresenti gatti, fino a farsi letteralmente rapire dalla personalità e dalla storia dell’anziana Komiyama, che all’inizio infastidita dalle troppe attenzioni date al pescatore, riesce a rubargli la scena e a prendere anche un pezzo del nostro cuore, mentre la ascoltiamo raccontare del proprio figlio disabile ricoverato, la percepiamo essere tragicamente sola, la vediamo camminare di spalle con quel passo veloce e sbilenco…
La macchina da presa è così vicino emotivamente all’umanità che riprende, da farci sentire la tristezza di un mondo che sta lentamente scomparendo.
Il finale con la promessa da parte di Soda di tornare a fare una proiezione pubblica del documentario, il lento allontanarsi dalla scena delle anziane donne e la scoperta che l’anno successivo la signora Komiyama è mancata, mi hanno lasciato addosso una grande tristezza, come se una parte di quella antica purezza avesse reso il mio mondo, il mondo di tutti, molto più povero.

VOTO: 9

BACK SOON

di Solveig Anspach (2008)

Pare impossibile anche solo immaginare una commedia piuttosto squinternata ambientata in una terra fredda e inospitale come l’Islanda, eppure questo “Back soon” è veramente un film esilarante!
Anna è una poetessa, ma anche una spacciatrice di marjuana, ha due figli, un sedicenne avuto con un pilota e un altro bimbo sicuramente avuto con un uomo di colore non ben identificato. Stufa dell’ambiente inospitale, vorrebbe cedere l’attività per trasferirsi altrove con i figli.
Da queste premesse parte una specie di “road movie” in cui Anna, lasciato il cartello “torno subito” sulla porta di casa, si fa accompagnare in furgone da un acquirente, viene lasciata per strada perchè incapace di smettere di farsi canne in auto, incontra personaggi sempre più assurdi, aspiranti suicidi, oche moleste, un fan francese, una ragazzina mollata dal fidanzato in galera… E mentre Anna è via, nella sua casa ad aspettarla in cerca di droga arriva un caravanserraglio di personaggi sempre più assurdi, che declamano poesie, bevono, si sfidano a braccio di ferro, filosofeggiano…
E’ anche interessante ammirare i maestosi e glaciali paesaggi in cui si muove Anna, e il calore della varia umanità che ci abita. Una piacevolissima sorpresa!

VOTO: 7,5

HALF-LIFE IN FUKUSHIMA

di Mark Olexa & Francesca Scalisi (2016)

In questo documentario seguiamo la vita di ogni giorno di Naoto, un abitante di Fukushima, che ha deciso di rimanere a vivere col padre nella zona radioattiva. Seguiamo Naoto nel suo vagare per la città deserta, mentre intorno gruppi di uomini in tuta anti-radiazioni lavorano per cercare di decontaminare terreno e costruzioni. Sfama gli animali, attende interminabili minuti che diventi verde l’inutilissimo semaforo in un incrocio cittadino, si fa la barba con la poca acqua disponibile…
In un documentario ritengo che quello che più conti sia la vicinanza sia fisica che emotiva col soggetto ripreso e raccontato. Un reportage funziona se il soggetto non guarda in macchina, non è consapevole della presenza dell’operatore e agisce come farebbe se fosse da solo.
Tutto ciò qui non avviene. La macchina da presa riprende Naoto, ma non lo avvicina abbastanza. Non sappiamo nulla veramente di quello che prova. L’atmosfera di desolazione non si può cogliere solo riprendendo ripetutamente delle strade deserte, ma facendo vivere allo spettatore cosa si prova a percorrerle. Alcune scene poi non paiono naturali, ma recitate, come i tiri di golf nell’impianto abbandonato e fatiscente, o il giro alla stazione, osservando i binari invasi dalla vegetazione.
Naoto non è il fine, ma il mezzo per mostrare la tesi degli autori; e per un documentario questo è un peccato capitale.