HALF-LIFE IN FUKUSHIMA

di Mark Olexa & Francesca Scalisi (2016)

In questo documentario seguiamo la vita di ogni giorno di Naoto, un abitante di Fukushima, che ha deciso di rimanere a vivere col padre nella zona radioattiva. Seguiamo Naoto nel suo vagare per la città deserta, mentre intorno gruppi di uomini in tuta anti-radiazioni lavorano per cercare di decontaminare terreno e costruzioni. Sfama gli animali, attende interminabili minuti che diventi verde l’inutilissimo semaforo in un incrocio cittadino, si fa la barba con la poca acqua disponibile…
In un documentario ritengo che quello che più conti sia la vicinanza sia fisica che emotiva col soggetto ripreso e raccontato. Un reportage funziona se il soggetto non guarda in macchina, non è consapevole della presenza dell’operatore e agisce come farebbe se fosse da solo.
Tutto ciò qui non avviene. La macchina da presa riprende Naoto, ma non lo avvicina abbastanza. Non sappiamo nulla veramente di quello che prova. L’atmosfera di desolazione non si può cogliere solo riprendendo ripetutamente delle strade deserte, ma facendo vivere allo spettatore cosa si prova a percorrerle. Alcune scene poi non paiono naturali, ma recitate, come i tiri di golf nell’impianto abbandonato e fatiscente, o il giro alla stazione, osservando i binari invasi dalla vegetazione.
Naoto non è il fine, ma il mezzo per mostrare la tesi degli autori; e per un documentario questo è un peccato capitale.

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